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LA XII GIORNATA NAZIONALE DELLE MINIERE A SCAFA

Una mostra, un convegno e un’esposizione fotografica fanno guardare al futuro

SCAFA - La XII Giornata nazionale delle miniere, a Scafa, è cominciata a Palazzo Paparella, nel pomeriggio del 12 settembre, con una mostra con contenuti multimediali, curata da Mino Gelsomoro. Per poi proseguire con il convegno “La Majella nera”, nel piazzale della Sama, promosso dalla Sigea (Società Italiana di Geologia Ambientale), insieme con un’esposizione fotografica del Graim (Gruppo di Ricerca di Archeologia Industriale della Majella). È stato il Sindaco di Scafa, Maurizio Giancola, ad aprire il dibattito affermando che un’iniziativa come la Giornata nazionale delle miniere «sarebbe sterile se fosse solo un’occasione per il territorio di rievocare il passato, per riappropriarsi identità, vocazioni e tradizioni. Deve, invece, essere anche un’opportunità per riportare in attività i siti minerari e la produzione.» Un fine che, ricorda Giancola, l’Amministrazione comunale di Scafa ha finora perseguito ed intende continuare a perseguire: «Il bando congiunto di Demanio e Regione, che abbiamo fortemente voluto perché la Sama tornasse in funzione, non ha portato risultati concreti, ma non desistiamo da tale proposito. Siamo convinti che si debba tornare a produrre i derivati dell’asfalto, com’è avvenuto per più d’un secolo di storia.» Anche per Adele Garzarella, Presidente della Sigea Sezione Abruzzo, «la Giornata nazionale delle miniere deve essere un punto di partenza, non d’arrivo.» Il primo dei relatori del convegno a prendere la parola è stato Roberto di Paolo, rappresentante del Graim, il quale ha spiegato che «le venti miniere della Majella sono una città nella montagna, un immenso patrimonio da valorizzare, un grande risorsa per l’industria del turismo.» Un potenziale costituito non solo dalle miniere, ma anche da tutto ciò che le circonda: «Ci sono gli ambienti sotterranei, gli ambienti esterni, ossia le infrastrutture, i sentieri ed i paesaggi, infine le testimonianze ed i documenti storici. Si pensi alla miniera di Pilone, con i suoi nove piani, alle tre centraline idroelettriche ed ai ricordi che l’ex minatore Vincenzo Di Paolo ha voluto mettere per iscritto. Tutto questo è il patrimonio a cui mi riferisco. Tenete presente che, in Italia, ci sono cinquantatré miniere visitabili e sono importanti attrazioni turistiche, come il Parco nazionale museo delle miniere dell’Amiata, il Parco nazionale delle colline metallifere grossetane o le miniere di Predoi, in Alto Adige.» La geologa Violetta De Luca, vicepresidente della Sezione Abruzzo della Sigea, ha parlato soprattutto della storia del bacino minerario, che ha inizio con Silvestro Petrini, che nel 1840 scoprì il bitume nella Majella ed intuì che l’estrazione di questo minerale avrebbe potuto cambiare la storia della Valpescara. «Ma il bitume», dice la De Luca, «era utilizzato sin dal neolitico, è sempre stato impiegato come impermeabilizzante in tutte le epoche storiche. Nella seconda metà del XIX secolo, con Petrini, ha inizio l’industrializzazione del bacino minerario, le mattonelle prodotte a Scafa vengono utilizzate per la pavimentazione a Berlino ed in altre importanti città del mondo. Di quel periodo, ancora oggi restano tracce e resti come la ferrovia a Pilone, insieme con una sorta di museo archeologico all’aperto, nei boschi di Lettomanoppello, oppure la mensa dei minatori, in parte coperta dalla vegetazione. Abbiamo i testi di Vincenzo Di Paolo, che ci spiega com’era la giornata tipica e la vita del minatore. Abbiamo tanto da conservare e valorizzare.» Ed un’importante spinta alla valorizzazione può venire dal Parco nazionale della Majella, dice un’altra geologa, Elena Liberatoscioli. Il Parco in questione, infatti, ha presentato la candidatura a Geoparco dell’Unesco. «Conseguire un titolo di rilevanza mondiale», secondo la Liberatoscioli, «potrebbe accrescere il flusso dei turisti del 30%, questo è avvenuto nei settantatré geoparchi d’Europa, nei centocinquantasei geoparchi del mondo e nei nove italiani. Abbiamo presentato la candidatura nel 2018 ed oggi posso dire che siamo a buon punto sulla strada che porta al raggiungimento dell’obiettivo.» Di storia ha parlato anche la professoressa Daniela D’Alimonte, particolarmente d’una figura poco conosciuta: la donna che lavorava in miniera. «Contrariamente a quanto accadeva negli altri Paesi europei», racconta la D’Alimonte, «in Italia, non è stato mai consentito alle donne di lavorare nel sottosuolo. Lavoravano in superficie, ai macchinari, oppure pulivano gli stanzoni. Una vita durissima, la giornata lavorativa era di dieci o undici ore al giorno, alla fine del turno non avevano neanche la forza di tornare a casa e si fermavano a riposare nei dormitori. Si dovette aspettare il 1902 perché si facesse la prima legge a tutela delle donne e dei bambini che lavoravano in miniera.» Ha concluso il convegno il professore Silvano Agostini, geologo anche lui. «La valorizzazione», ha spiegato Agostini, «consiste in una comunicazione diretta, formata da filmati e foto d’epoca, cartografie, interviste ai testimoni… Occorre fare in modo che il turista non sia un semplice consumatore, ma un viaggiatore. Il geoturismo è conoscenza di cultura. La vera sfida, oggi, per noi, è fare interventi di recupero.»


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